Cucina popolare al ristorante D’O
Milano abbonda di ristoranti d’ogni genere ed emergere non è affatto facile, vista la concorrenza agguerrita e una tendenza al risparmio. Probabilmente anche Davide Oldani, nell’ormai lontano 2003, ebbe a pensare la stessa cosa immaginando il suo ristorante D’O. Al termine di un percorso che lo ha visto collaborare i più grandi cuochi del mondo, da Gualtiero Marchesi ad Albert Roux, da Alain Ducasse a Pierre Hermé, Davide Oldani oggi si prende il merito di aver guardato lontano, partorendo l’idea di creare una cucina d’autore con ingredienti poveri e quindi poco costosi, ma pur sempre di qualità. La filosofia della cucina pop-olare è proprio questo: l’arte di ripensare i piatti tradizionali reinventandoli con ingredienti meno costosi ottenendo risultati come l’aragosta champagne e sale dell’hymalaia, fricassea di lingua, emulsione di barbabietola alla diavola, Vellutata di topinambur, cozze e salsa liquirizia, creste di gallo e il gelato al parmigiano. Tutti apparentemente piatti assurdi ma dai sapori assolutamente unici.
Il ristorante D’O si trova a Cornaredo in Via Magenta 18, quindi facilmente raggiungibile in aereo con i voli di Skyscanner, ed è – oggi più che mai – un locale adatto a tutti ma soprattutto per chi ama provare una cucina particolare e isolita. Davide Oldani ha qui creato un ambiente semplice, quasi rustico, ma di ottimo livello.
Il D’O registra quasi sempre il tutto esaurito (visto anche che il locale è davvero piccolissimo) e per questo bisogna prenotare anche con un certo anticipo (anche 6 mesi), ma ne vale assolutamente la pena, visto che la cucina è ottima e il personale gentilissimo. I prezzi non sono poi per nulla esagerati e fatto salvo per certi piatti, sono presenti anche i menù giornalieri che consentono con meno di 15€ di provare una cucina più unica che rara.
Il ristorante D’O è un locale che – vuoi per le grandissime aspettative che si sono create attorno, vuoi per i tempi di attesa – può anche deludere. La qualità dei piatti non è mai in discussione, ma – come dico spesso – le grandi aspettative possono anche deludere.