Il burro d’aria esiste davvero: cos’è, come nasce e perché sta facendo discutere

Il burro d’aria esiste davvero: cos’è, come nasce e perché sta facendo discutere

Negli ultimi giorni, il termine burro d’aria è rimbalzato su testate e pagine social, suscitando curiosità e stupore. Dietro titoli suggestivi e provocatori, però, si cela una tecnologia reale, avanzata e potenzialmente rivoluzionaria per il futuro dell’alimentazione sostenibile. Ma che cos’è davvero questo burro “che nasce dall’aria”? E perché sta facendo tanto parlare proprio in questo momento?

Burro d’aria: il burro sintetico che riduce le emissioni e sfida le regole del cibo tradizionale

Il burro d’aria è un prodotto creato in laboratorio a partire da 4 elementi base: anidride carbonica, idrogeno, ossigeno e acqua. Non contiene ingredienti di origine animale né vegetale, ma la sua struttura è composta da acidi grassi, ottenuti attraverso un processo chimico ad alta efficienza, che vengono poi emulsionati con acqua, colorati di giallo con beta-carotene e aromatizzati con olio di rosmarino per riprodurre il sapore e la consistenza tipica del burro tradizionale. Il risultato? Un grasso spalmabile e cucinabile, molto simile al burro vaccino, ma con un impatto ambientale quasi nullo.

L’idea nasce e si sviluppa negli Stati Uniti, nel cuore della Silicon Valley, grazie a Savor, una startup, fondata nel 2022 a San Jose, in California, da Kathleen Alexander e Chiara Cecchini, con un team multidisciplinare. In tre anni, Savor ha ottenuto circa 33 milioni di dollari di finanziamenti da investitori di primo piano, tra cui Breakthrough Energy Ventures, la società di investimento fondata da Bill Gates per finanziare e sviluppare aziende inclini a ridurre le emissioni di gas serra nell’economia globale. A marzo 2025, in particolare, Savor ha ufficialmente presentato il suo primo prodotto al pubblico e agli investitori, attirando l’attenzione globale sul suo carattere non solo innovativo ma anche e soprattutto sostenibile. I dati sull’impatto ambientale sono infatti a dir poco impressionanti: mentre un chilogrammo di burro tradizionale può generare fino a 14 kg di CO₂, il burro d’aria ne produce appena 0,8 grammi, riducendo anche drasticamente il consumo d’acqua, che si stima sia meno di un millesimo rispetto a quello richiesto dall’agricoltura tradizionale. Questo tipo di produzione non richiede infatti terreni, coltivazioni, allevamenti, ma può essere realizzata, senza limiti di stagionalità, ovunque ci sia accesso a elettricità (idealmente da fonti rinnovabili), acqua e anidride carbonica.

Tuttavia, nonostante i test effettuati in ristoranti statunitensi selezionati, il recente annuncio del lancio commerciale del burro d’aria, che non è quindi più solamente un prototipo, e il conseguimento, da parte di Savor, di un’autocertificazione GRAS (Generally Recognized As Safe) per vendere legalmente i propri grassi sintetici, il prodotto non è ancora in vendita al pubblico ma si prepara piuttosto ad affrontare l’importante sfida della scalabilità produttiva, della validazione industriale, delle normative alimentari dei diversi paesi e, soprattutto, della sicurezza alimentare a lungo termine, che darà vita a studi sempre più approfonditi sugli effetti del consumo regolare di grassi sintetici.

Insomma, anche se il burro d’aria non è ancora una realtà concreta, è ben lontano dall’essere solamente un’idea futuristica. Con le proprie caratteristiche, infatti, il burro d’aria ha aperto le porte ad una nuova categoria di alimenti; prodotti ottenuti senza allevamenti né coltivazioni, pensati per un pianeta sovrappopolato e in emergenza climatica. E nonostante, come spesso accade con le innovazioni radicali, il burro d’aria divida l’opinione pubblica tra entusiasmo per il progresso e diffidenza verso ciò che sembra innaturale, nel giro di pochi anni potremmo facilmente trovarlo nei supermercati e sostituirlo al burro tradizionale.