Il Tonno di Corsa di Carloforte
Scrivere di Carloforte a gennaio è una piacevole tortura: l’isola di San Pietro a maggio esplode di profumi di mirto e rosmarino; l’acqua è cristallina e la brezza tiepida ti avvolge in un abbraccio dall’ineffabile magia; l’aspetto rude di quelle scogliere, le spiagge dal candore abbagliante, la vegetazione povera ma vera dell’isola rappresentano oggi un biglietto da visita straordinario, quasi unico per chi ricerca una Sardegna autentica…non vedo l’ora che arrivi primavera! Chiamata anche Isola Verde o isola degli sparvieri, Isola Piana è un paradiso terrestre di 52 Kmq , 18 miglia marine di coste e 7.000 abitanti (che durante l’estate raggiungono punte di 40.000/50.000 persone). Una piccola isola, un mondo magico, che ha una storia antica, la storia del Tonno di Corsa.
Ha un nome buffo ma in realtà ogni carlofortino sa di che cosa si tratta: il Tonno di corsa è quello catturato nelle tonnare nel periodo di maggio, quando si preparano a depositare le uova. Il metodo è quello antico delle tonnare fisse presso le quali si effettua la rinomata mattanza ormai non più cruenta come una volta. Stiamo parlando chiaramente del Tonno di Carloforte, dell’isola di San Pietro (Cagliari), e delle tonnare di Portopaglia, Portoscuso, Isola Piana e della stessa Carloforte. La storia del tonno tra i più apprezzati al mondo ha origini antichissime: pare che la cattura dei tonni in questa zona straordinaria della Sardegna sia già stata praticata dai Fenici, dai Romani e anche dagli Arabi fino agli Spagnoli. Il termine “mattanza”, per esempio, ha una chiara origine spagnola in quanto “matar” significa uccidere e la “mattanza” è la fase finale della pesca con la tonnara. E’ strepitoso guardare dal vivo la pesca del tonno: le reti vengono calate lungo la costa settentrionale dell’isola, in una zona ben precisa tra le “Tacche Bianche” e la “Punta delle Oche”. Il tonno segue la costa, dove l’acqua è poco profonda e dove la femmina deporrà le uova; nuota guardando solo e sempre dal lato sinistro, come se ci vedesse da un occhio solo, così i pescatori tendono una rete che va dalla riva verso il largo e che si chiama “pedale” o “coda” (a seconda delle località).
Sembra una cosa crudele, e forse lo è, ma in quel momento i pescatori stanno compiendo gesti secolari, accompagnati da canti antichi e grida di esortazione, perché la pesca del tonno è benessere per tutti, se si pescano tanti tonni l’inverno sarà buono, ci sarà legna per scaldarsi e buon pane fresco da mangiare e anche, perché no, del buon vino da bere. La stagione di pesca dura poco, le reti si calano a Maggio e restano in mare circa 45 giorni. Poi ne deriva un gran lavoro per tutti : le reti da riparare o da rifare, il pesce da salare e da inscatolare, le uova della femmina da lavorare per ricavarne la squisita bottarga e tutto questo tiene occupata una buona parte della popolazione per il resto dell’anno.
A dire il vero oggi le cose sono molto cambiate: i tonni non vengono più pescati come un tempo. “Ne passano sempre meno”, dicono i pescatori convinti che il tonno abbia cambiato rotta. Ma come può essere cambiato il codice genetico di questo pesce fiero e possente, a cui l’istinto dice di scendere verso Sud in primavera e di nuotare verso Ponente fin dalla notte dei tempi? Non è il tonno che è cambiato, ma l’uomo. Un inquinamento delle acque prospicienti Carloforte ha impedito di calare le reti della tonnara per diversi anni e, una volta superato questo problema, ne è nato un altro. Grossi pescherecci oceanici fanno la caccia al tonno, addirittura lo aspettano prima che entri dallo Stretto di Gibilterra. Hanno strumenti sofisticati e, spesso, anche l’ausilio di elicotteri, così quando avvistano un banco di tonni, calano in mare delle camere della morte volanti, direttamente sul pesce, facendo sempre un buon bottino.
Aspettando maggio, e aspettando il ritorno dei tonni, siamo qui ad aspettare anche il ritorno della Sardegna autentica che affascina come pochi altri luoghi al mondo.