Si scrive Eataly ma si legge Italy – a New York
NEW YORK – Il sindaco di New York, Michael Bloomberg, ha finalmente inaugurato quello che può essere definito il gotha dell’imprenditoria enogastronomica italiana: Eataly. L’immenso mega-store del gusto “tricolore” ideato dall’industriale piemontese Oscar Farinetti nel cuore della Grande Mela è una piattaforma di 6.000 metri quadrati di pizze e paste cucinate alla perfezione, carni trattate come se fossero sushi, ostriche, verdure fritte e tantissimi altri prodotti che hanno in comune due particolari non da poco: l’eccellenza delle materie prime e la provenienza italiana delle stesse. Eataly, all’angolo tra Quinta e 23esima, è un gioco di parole tra Italy e eat (mangiare) ma soprattutto è una enorme sfida: «È l’american dream che sposa i sogni italiani», ha detto lo chef Mario Batali, uno dei partner americani di Farinetti con i soci Joe e Lidia Bastianich. «Un sogno reso possibile anche da una task force del comune di New York», ha detto Bloomberg: la New Business Acceleration Team ha aiutato gli italiani a navigare negli incubi della burocrazia municipale accelerando di 15 settimane il momento del taglio del nastro.
Non è da oggi che Manhattan adora mangiare italiano: negli anni ’80 e ’90 San Domenico di Tony May, i vari Cipriani e Le Cirque di Sirio Maccioni hanno portato i newyorchesi ad apprezzare piatti oltre gli ’spaghetti and meatballs’ delle mense degli emigranti del Novecento. Oggi però il palato raffinato della capitale del melting pot globale ha bisogno di qualcosa che offra una marcia in più. Ed ecco dunque l’iniziativa da 25 milioni di dollari che Farinetti, sulla scia di esperienze analoghe a Torino e in Giappone, ha lanciato oggi accompagnato dal fondatore di Slow Food Carlo Pedrini, cinque sindaci del Piemonte (Torino, Alba, Barolo, Bra e Novello), il presidente della Liguria Claudio Burlando e il presidente della Commissione Ambiente del Senato Antonio D’Alì. Il taglio del nastro simbolico di pasta nei colori delle bandiere italiana e americana è stato benedetto dall’arcivescovo di New York Timothy Dolan e innaffiato da magnum di Asti Spumante e Ferrari Brut.
L’idea di Eataly è quella di un department store di lusso che illustra e vende le eccellenze italiane e locali in fatto di cucina con orari di apertura dalle sei di mattina per il caffè (il primo Lavazza Cafè nel mondo) alle due di notte per la birreria sul tetto. Tutti i prodotti freschi sono locali, scelti all’insegna del meglio: come la carne di razza piemontese portata dal veterinario della Granda Carne Sergio Capaldo nel Montana con l’inseminazione artificiale, o la mozzarella prodotta ogni giorno con latti locali davanti ai clienti. I dipendenti sono 400 di cui 300 assunti in loco, molti da aziende di Wall Street in crisi e però pronti a cambiare lavoro, come ha spiegato Adam Saper, chief financial officer e general manager di Eataly. «Creare posti di lavoro a New York è senz’altro un modo molto efficace per promuovere il sistema Italia negli USA», ha dichiarato l’ambasciatore italiano negli Stati Uniti Giulio Terzi secondo cui Eataly rappresenta una «vetrina unica nel cuore del paese che rappresenta il terzo mercato per il nostro export».