Stampa di settore: come ti vendo bene la ristorazione
Nonostante sappia già che l’argomento non sarà di gradimento, insisto su un aspetto che credo sia di interesse per tanti. Prendo spunto dalla copertina di Mixer, magazine di Fipe e Fiera Milano che si rivolge ai pubblici esercizi. Cosa c’è in copertina del numero di febbraio 2010? C’è il solito ristorante, con il solito famoso chef attorniato dalla sua brigata di sala e cucina, ben 16 persone in tutto. Dov’è il problema? Il ristorante è all’interno di un grande e famoso albergo di Roma, e fin qui nulla di strano. Ci sono però almeno tre aspetti che non riesco a capire.
Primo, le guide enogastronomiche sempre più premiano i cuochi “dipendenti”, che appunto pur essendo cuochi manager non hanno responsabilità imprenditoriali. Continuo a sostenere che c’è una differenza tra chi è uno chef-proprietario, che tutte le mattine, oltre a curare la cucina, deve occuparsi della sala, delle banche, del commercialista, della gestione del personale, dei rappresentanti, di far la spesa e magari di tenersi aggiornato con fiere, eventi o scuole: per fare tutto non bastano le 10-12 ore che abitualmente si passano in un medio ristorante di qualità. Ci mancherebbe altro che uno chef che deve solo occuparsi della cucina tutto il giorno non sia bravo, o almeno che non sia in grado di esprimere al meglio le sue capacità professionali, in fondo deve fare quello.
Direttamente proporzionale è l’aspetto dei conti. Tutti noi sappiamo che spesso i costi del ristorante di un albergo sono spalmati sulle camere, perché spesso il prestigio di un ristorante d’albergo è legato al prestigio dello stesso chef, cioè l’albergo pur di ottenere, magari per la qualità che esprime, un riconoscimento, investe nella struttura ristorativa molto più di un qualsiasi ristorante tradizionale. Mi hanno riferito di promozioni alberghiere estreme: cena per due, camera quasi gratis.
La realtà è che ormai molti dei grandi chef lavorano per aziende vinicole, per aziende della moda, per aziende edili, che costruiscono alberghi, tutte realtà imprenditoriali che per ottenere un ritorno d’immagine investono molto nella ristorazione. Senza toccare il mondo delle navi da crociera, che si stanno facendo il “lifting” puntando sulla ristorazione di qualità. Anche se il turnover degli chef è altissimo.
Ma fin qui ancora tutto bene, ognuno evidentemente in casa propria fa quello che vuole. Ma il terzo punto sta esattamente in questo. Per la ristorazione di qualità, con una grandezza media di 5-8 dipendenti, la concorrenza è spietata, anzi quasi sleale, senza dimenticarsi che queste strutture spesso raccolgono “gratis” tutte le espressioni di stage delle scuole del territorio.
Qual è allora il futuro della Ristorazione media italiana, che è poi la spina dorsale del settore? Ecco, tornando al punto di partenza, la rivista Mixer (ma il vizio è di tante riviste del settore) utilizza il grande chef, il grande ristorante come vetrina per attirare consenso, ma poi è farcita di pubblicità di sorbettiere o macchine per pizza o pasta surgelata. Chiedo solo un po’ di coerenza.