Quella che è scoppiata attorno alla guida 50 Top Pizza può sembrare l’ultima grande rivelazione del mondo gastronomico italiano; in realtà è solo l’ennesima riprova di quanto fosse già noto a chi bazzica questo settore da anni: le classifiche (tutte) sono una “boiata pazzesca”. Per chi si fosse perso l’ultimo “gossip gastronomico”, a metà luglio, durante la premiazione milanese, è stato assegnato il titolo di “Miglior Fritturista” a Bob Alchimia a Spicchi, pizzeria calabrese che, ironia della sorte, non ha mai avuto fritti in menu. Nell’imbarazzo più totale, i titolari, per cortesia, hanno ringraziato ma hanno dovuto subito chiarire l’equivoco, restituendo il premio a chi lo avrebbe realmente meritato. L’errore — attribuito a una confusione grafica e rattoppato ribattezzando il riconoscimento come “Valorizzazione dell’olio 2025” — ha innescato una discussione virale e decine di articoli sui quotidiani e magazine di tutta Italia.
50 Top Pizza Italia nella bufera: il PizzaGate è servito
Il caso del “Miglior Fritturista” assegnato a Bob Alchimia a Spicchi è un esempio lampante di come una svista possa trasformarsi in un caso mediatico e in una riflessione più ampia sulla credibilità delle guide. I vari articoli pubblicati su varie testate, mettono un po’ tutti in luce con ironia e precisione quanto questo genere di classifiche siano solo teatri plaudenti per attori (chef e pizzaioli) che sanno come attirare mediaticamente l’attenzione.
L’articolo su Dissapore di Massimo De Marco, ad esempio, non si limita alla cronaca dell’errore: smonta le motivazioni ufficiali, considerate poco convincenti, e riflette sulle dinamiche delle classifiche gastronomiche, spesso sostenute da sponsor e uffici stampa ma con risorse limitate per un monitoraggio realmente capillare. Con un linguaggio tagliente ma equilibrato, mette in discussione l’autorevolezza autoproclamata di alcune guide, ricordando che, senza trasparenza e criteri verificabili, anche il prestigio più consolidato può incrinarsi. Ne esce un quadro critico ma non demolitorio, che trasforma un episodio grottesco in un’occasione di discussione sul ruolo e i limiti di premi e classifiche nel mondo della ristorazione.
L’articolo di Identità Golose, mette sul tavolo i fatti in modo più sobrio, mettendo in evidenza le precisazioni di Roberto Davanzo sul suo profilo Instagram, ma anche le frecciatine sarcastiche si Silvia Rotella – fondatrice di Timo Studio Enogastronomico, ufficio stampa di Bob, e sorella di Anna Rotella, compagna di Davanzo – che commenta: «Possiamo finalmente dire che nel 2025 la miglior proposta fritti è non avere in carta fritti».
E il sarcasmo e l’irriverenza non mancano
La situazione ispira persino la nascita di un sito ad hoc, bobalchimiaefritti.com, che però è del tutto inattivo. A rincarare la dose è Alessandra Molinaro, cofondatrice di Timo, che precisa di parlare a titolo personale e mette in discussione il riconoscimento: «50 Top Pizza, che si autodefinisce “la più importante classifica al mondo sulla pizza”, assegna il premio speciale “Miglior Fritto 2025” a Bob Alchimia a Spicchi. Peccato che Bob non abbia mai avuto fritti in menu. Ma quando una guida si assegna l’autorità da sola, anche l’aria (fritta) evidentemente può essere premiata. Questa non è una classifica: è un atto performativo che sostituisce la competenza con il prestigio autoproclamato. Il problema è che, a forza di gonfiare l’ego, prima o poi qualcosa scoppia. E fa un certo effetto veder crollare l’autorevolezza proprio da parte di chi passa l’anno a far lezione a tutto il settore, criticando i criteri altrui».
Dall’iniziale polemica alle vie legali: la querelle tra Attilio Albachiara e Luciano Pignataro
Attilio Albachiara, terza generazione di pizzaioli e due volte Campione del mondo, non le manda certo a dire, pubblicando un messaggio vocale appartenente a Luciano Pignataro accompagnato da un post che sembra una vera e propria dichiarazione di guerra al direttore e a tutto il mondo delle guide poco serie: “Caro Lucianone hai sbagliato, io non ho mai parlato della tua vita privata , e ricorda che siamo stati ottimi amici per 6 anni , che peccato , gli amici veri sono quelli che io ho distrutto 7 anni fa per salvarti il…
Ho deciso di tirare in ballo giornalisti, consulenti, food blogger, agenzie e tutto quello che metterò agli atti negli ultimi 7 anni, compresi tanti amici pizzaioli importanti che in privato mi dicono tante cose e nella realtà sono amici dei nemici […] Adesso decidete voi cosa fare , aumentare la m##da o prendere una decisione che faccia felici tutti i pizzaioli d’Italia […]”. E qui i popcorn sono d’obbligo.
Guide e classifiche: un compito impossibile?
Chi conosce il dietro le quinte, però, non è rimasto stupito: è bastato scoperchiare il vaso di Pandora perché venisse a galla ciò che molti già pensavano, ossia che nessuna classifica può essere impeccabile. Anzi, per dirla tutta, nessuna guida potrà mai essere credibile. Gli addetti ai lavori lo sanno benissimo: stilare graduatorie credibili richiede risorse che poche redazioni possono vantare (secondo me nessuna), come dimostra il fatto che i 150 ispettori di 50 Top Pizza dovrebbero visitare centinaia di pizzerie ciascuno per coprire tutto il Paese – un’impresa insostenibile anche economicamente. Eppure, nonostante i limiti evidenti, c’è chi continua a fare divulgazione con passione. Vale quindi la pena di analizzare le dinamiche in gioco senza demonizzare chi prova a raccontare la gastronomia.
Il sistema non è infallibile
Le guide gastronomiche si dividono da sempre tra chi segnala locali e chi li mette in classifica. Le seconde – e 50 Top Pizza ne è l’esempio più discusso – hanno ambizioni globali ma risorse finite. La gaffe sui fritti ha evidenziato che il sistema non è infallibile: la stessa guida, nel proprio manifesto, afferma di basarsi su un algoritmo che bilancia il peso delle regioni e sul voto di ispettori anonimi. Ciò non basta a evitare errori: come ha osservato il pizzaiolo Giuseppe Vesi, con così poche visite reali è improprio assegnare titoli assoluti come “miglior pizzaiolo d’Italia” e servirebbero criteri “chiari, trasparenti e accessibili a tutti”. Ma gettare fango sulle guide rischia di buttare via il bambino con l’acqua sporca: senza chi prova a mappare il territorio, molte eccellenze resterebbero nell’ombra.
L’importanza (e i limiti) della comunicazione
Nell’era dei social, uffici stampa e sponsor sono imprescindibili per far esistere eventi e guide, ma il confine tra promozione e critica è sottile. Proprio per questo la polemica ha toccato anche la trasparenza dei rapporti commerciali. Luciano Pignataro, uno dei curatori di 50 Top Pizza, ha risposto che la guida non utilizza uffici stampa e che i partner servono solo a pagare giovani collaboratori e organizzare eventi, non a determinare la classifica. È una posizione che va valutata per quello che è: chi fa divulgazione spesso cammina sul filo, cercando sponsorizzazioni che permettano di finanziare visite e contenuti, ma rischiando di essere percepiti come “pennivendoli”. La soluzione non esiste e il paradosso è proprio questo: nessuna guida potrà mai svolgere un lavoro integerrimo e trasparente, semplicemente perché non esistono i mezzi economici, organizzativi e logistici.
Tutte le testate che conosciamo, non hanno i mezzi per finanziare viaggi e pranzi; quindi è inevitabile che ci siano delle falle. Questo non giustifica i comportamenti scorretti, ma dovrebbe indurre il pubblico a giudicare i contenuti, non le intenzioni presunte. Il caso 50 Top Pizza ha visto contrapporsi due modi di fare divulgazione: quello istituzionale della guida e quello “militante” del giornalista e creator Antonio Fucito (Tanzen). Quest’ultimo ha definito la classifica “vittima delle sue dimensioni” e ha criticato la toppa comunicativa sul premio. Pignataro lo ha liquidato come un polemista che lucra sulla vicenda. In mezzo stanno i lettori, che dovrebbero beneficiare di un confronto serrato ma rispettoso tra chi racconta la gastronomia.
Premiazioni: perché servono comunque
Awards e classifiche alimentano sogni, marketing e, sì, errori. Ma servono anche a spostare l’attenzione su territori che altrimenti non avrebbero eco. È giusto mettere sotto pressione chi organizza premi, chiedendo trasparenza e competenza; al tempo stesso è ingeneroso pretendere l’infallibilità. La stessa toppa di 50 Top Pizza – cambiare la dicitura del premio in corsa – è stata goffa, ma dimostra che chi organizza eventi può sbagliare e correggersi. Anziché crocifiggere chi sbaglia, forse dovremmo sfruttare l’episodio per avviare un dialogo costruttivo su come migliorare.
Alla fine, chi ci perde e chi ci guadagna?
Nel grande circo dell’enogastronomia, ristoratori, giornalisti, uffici stampa e blogger giocano ruoli diversi e non sempre limpidi. Tutti sanno che la visibilità ha un prezzo e che nessuno è immune da compromessi. La polemica dei giorni scorsi ha semplicemente reso pubblici i vizi privati di un sistema che, in fondo, funziona così da anni. Se oggi si grida allo scandalo, è perché qualcuno ha svelato l’acqua calda.
Forse la lezione da trarre è questa: pretendere da guide e premi un rigore scientifico che nemmeno la Michelin riesce a garantire è illusorio. Meglio chiedere onestà, ammettere che i limiti esistono e sostenere chi cerca di raccontare un mondo complesso. Perché senza la fatica della divulgazione, con i suoi difetti, il grande patrimonio gastronomico italiano resterebbe un vaso di Pandora chiuso in cucina.