La rivoluzione vegetale al Due Camini di Borgo Egnazia

La rivoluzione vegetale al Due Camini di Borgo Egnazia

Ci sono esperienze a tavola che si vivono come un normalissimo pasto e altre che si attraversano come un racconto. Poi ci sono quelle che si abitano come un paesaggio interiore, in cui ogni gesto, ogni assaggio, ogni dettaglio ti parla in silenzio. La cena al ristorante Due Camini, all’interno della magnifica cornice di Borgo Egnazia a Savelletri, è esattamente questo: un viaggio lento, sensibile, ancestrale ed evocativo.

Alla base del nuovo corso del ristorante Due Camini c’è il progetto della Casa delle Sementi, un’idea potente nella sua semplicità: recuperare, conservare e coltivare semi di varietà antiche e dimenticate. Si tratta di un gesto che richiama una saggezza contadina ancestrale, ma che allo stesso tempo è un atto visionario. Questi semi racchiudono memoria, identità e biodiversità. Recuperarli significa restituire al territorio un patrimonio che rischiava di sparire per sempre. Recuperarli significa ritornare a connettersi con le proprie radici.

Occhio, non è solo una scelta agricola, ma un atto politico e culturale. La scelta dello chef e della sua brigata è anche un manifesto, un rifiuto all’omologazione delle colture industriali, per riscoprire la ricchezza della varietà autoctone, coltivarle in modo sostenibile senza chimica né forzature. Ma la componente agricola c’è eccome: il ristorante, in questo, si fa parte attiva di un ecosistema più ampio: i terreni di Borgo Egnazia vengono coltivati con tecniche organiche e rigenerative, e lo stesso modello viene condiviso con i fornitori locali. In teoria sembra tutto interessante. E nella pratica?

La nostra degustazione vegetale presso i Due Camini di Borgo Egnazia

Al centro del tavolo, apparecchiato con eleganza essenziale e fiori freschi, vengono adagiate una serie di “cartoline”; fotografie visive e tattili, ciascuna dedicata a un ingrediente vegetale. Barattiere, Cavolfiore, Verza, Fiori, Piselli, Radici, Lattuga, Cipolla, Fragola, Peperone, ecc.. Questo è il nuovo concept di menù dei Due Camini dove ogni cartolina non rappresenta semplicemente un piatto, ma l’osservazione di un micro-cosmo. Da queste l’ospite è invitato a scegliere il proprio percorso: per ogni vegetale, un cammino a tre portate, un piatto principale, uno di accompagnamento e un terzo a chiusura, con una nota più tendente al dolce.

Impossibile non fare un plauso a questa scelta. Quella di Schingaro è una rivoluzione silenziosa che cambia radicalmente la struttura del fine dining. Non più un menù preimpostato, ma un sistema di micro-menù, ognuno autosufficiente, con una propria narrazione, una propria progressione, un’identità. Come se ogni vegetale raccontasse tre storie, dalla radice al fiore, dalla terra al palato.

Un menù vegetale che non rinuncia alla complessità

Per la mia degustazione ho scelto quattro cartoline: Barattiere, Cavolfiore, Verza, Fiori. Ne è nata una cena giocata su equilibri di leggerezza e intensità, freschezza e densità, visione e memoria. Il Barattiere – ortaggio simbolo del Sud e varietà poco nota fuori dalla Puglia – ha aperto il percorso con un piatto in cui si è unito armoniosamente al latte di mandorla e alla birra. Si percepisce senza troppe spiegazioni che si tratta di un omaggio all’estate e al mare, ai pranzi in spiaggia con il barattiere fresco ad accompagnare il pasto e il latte di mandorla e la birra per dissetare.

Ai Due Camini, questo cucurbitaceo viene tagliato in piccole “ciambelline” e sottoposto a un processo di tripla osmosi sottovuoto, usando il centrifugato dello stesso ortaggio. Il risultato è un gioco di consistenze sorprendente, sospeso “tra il croccante e il morbido”. Il latte di mandorla, fatto “in casa” con varietà amare e dolci di mandorle di Toritto, accarezza il palato con delicatezza, mentre la birra artigianale, ridotta e cristallizzata, regala una sfumatura aromatica inattesa.

Ad accompagnare la prima portata, una spuma di barattiere, sedano e Gin e infine, una tartare di barattiere, accompagnata da una spuma ottenuta dalle bucce e dai semi del barattiere miscelati con tonica.

Il secondo ingrediente/cartolina – Il Cavolfiore – è stato la vera rivelazione del menù. Ad aprire il secondo mini-menù, un risotto ricco, generoso, a tratti opulento (ma sempre nei margini dell’eleganza), un piatto che mi ha fatto volare tra la terra e il mare, con la stessa velocità con la quale la Puglia ti fa attraversare i due mari. Il riso, un Gran Riserva Gallo, infatti, oltre ad essere mantecato con una crema di cavolfiori e arricchito da un tocco di caprino, era completata da una selezione di alghe kombu e nori e da piante grasse locali, tra cui la salvia di mare, sbollentata in acqua e aceto e conservata sott’olio. L’aggiunta di cavolo viola (cima di cola, una varietà barese dal colore fluorescente) grattugiato a crudo esaltava ulteriormente la sua essenza vegetale.

Ad accompagnare il risotto, il Cavolfiore al barbecue servito con il suo stesso fondo e limone femminiello e come terza portata – a chiusura di questa cartolina – una zeppolina di farina di riso, cavolfiore e amarene.

La Verza è stata l’elemento più concettuale elevata a protagonista di una trilogia complessa. La sua preparazione prevedeva una maturazione di cinque giorni in frigo, avvolta in pellicola con idromele per ammorbidirla, prima di essere arrotolata come un filetto e scottata in padella. Ad accompagnarla, una salsa ai tre pepi, creata con un fondo di verza, pepe e una punta di panna vegetale per una maggiore rotondità. Ad accompagnare il piatto principale, un tacos con insalata di verza rossa e yogurt e infine un involtino di verza ripieno di pere con il suo fondo.

Infine, Fiori: poesia pura. Qui il Pastry Chef Tiziano Mita si è ispirato a una colazione mediterranea dove siamo stati invitati a intingere una brioche profumata allo zafferano e all’arancia, in un cremoso di vaniglia, opunzia e rosa, cosparso da una granita di kombucha al geranio odoroso; ultimo boccone rinfrescante, una caramella con gelato al fior d’arancio.

Un luogo che accoglie come un racconto

Tutto questo accade in una sala dal fascino inconfondibile, che fonde l’architettura in pietra viva tipica del Sud con arredi morbidi, tessili naturali e fiori disposti con cura mai rigida. Le candele, la luce soffusa, la scelta di oggetti artigianali, creano un’atmosfera in cui sentirsi ospiti prima ancora che clienti. Il personale accompagna con intelligente e misurata empatia. Invadenza e affettazione assenti. Ogni piatto è introdotto con misura, lasciando che sia il gusto — e il pensiero — a completare l’opera.

Il gesto radicale della cucina vegetale

Ci si chiede, all’inizio, se un menù completamente vegetale possa davvero saziare, sorprendere, emozionare. E la risposta è sì — ma solo quando si smette di aspettarsi la solita narrazione. Qui il vegetale non è riduzione, ma possibilità. Non è mancanza, ma ascolto. Ogni ingrediente è trattato nella sua interezza: radici, foglie, bucce, fiori. Nulla si scarta, nulla è decorativo. Tutto è materia viva.

In un’epoca in cui la ristorazione rischia di somigliare a sé stessa, il Due Camini sceglie il coraggio del silenzio, la profondità dell’ascolto, la forza della semplicità. È un luogo dove si torna a sentire. Un luogo in cui la terra parla, e la cucina non la interrompe. La accompagna.

E forse, proprio per questo, vale il viaggio.

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