La Michelin non è la Bibbia, dormite tranquilli

La Michelin non è la Bibbia, dormite tranquilli

In un’epoca in cui la spettacolarizzazione della cucina è sempre più dilagante, le guide enogastronomiche prendono sempre più le sembianze di divinità e i lettori sempre più le forme di proseliti dalla fede ineluttabile. Parliamoci chiaro, la guida Michelin in questi decenni si è affermata con merito. Ma la questione è un’altra: è davvero infallibile come in molti pensano? Può oggi il prestigio delle stelle Michelin – simbolo di qualità e raffinatezza culinaria – pesare a tal punto da diventare l’unico obiettivo da perseguire? E’ necessario ricordare che dietro le pagine della “Rossa” ci sono esseri umani e non macchine infallibili, ispettori sicuramente qualificati (anche se numericamente pochi) ma decisamente non immuni dal commettere errori.

Alcuni chef si ammalano pur di ottenere una stella

Nella ricerca della stella Michelin, molti chef si imbarcano in un viaggio stressante e talvolta insalubre. La pressione di mantenere o guadagnare una stella può diventare un fardello pesante, influenzando negativamente sia la salute mentale sia quella fisica. Il desiderio di ottenere o mantenere una stella Michelin può portare alcuni chef a compiere scelte nocive per la propria salute. Lunghissime ore di lavoro, mancanza di sonno, stress elevato e poco tempo per la vita personale, sono solo alcuni degli aspetti negativi di questa ricerca. Per non parlare degli investimenti scriteriati che hanno portato molti ristoranti alla chiusura. Insomma, alcuni chef si ammalano per la mancata assegnazione della stella tanto da mettere in moto una serie di scelte che non sono altro che passaggi che si crede possano far piacere alla guida francese. È fondamentale rivalutare la definizione di successo nel mondo della ristorazione. L’apprezzamento e il riconoscimento dovrebbero derivare non solo dalle stelle Michelin. Gli chef e i ristoratori dovrebbero essere incoraggiati a trovare l’approvazione dei propri clienti e non di un ispettore (che probabilmente passerà nel giorno sbagliato).

La realità degli ispettori Michelin: sono pochi, troppo pochi.

Secondo il critico Valerio M. Visintin, sono circa 80 gli ispettori Michelin chiamati a far visita ai ristoranti di tutta Europa. Edoardo Raspelli, un altro nome noto nel panorama gastronomico italiano, rincalza la dose evidenziando una realtà ancora più imbarazzante: gli ispettori in Italia sarebbero, forse, non più di una decina. Questi numeri sollevano dubbi significativi sulla copertura effettiva e l’accuratezza delle valutazioni della guida e questo potrebbe essere il primo vero motivo per cui bisognerebbe smettere di elevarla a divinità perfetta. Nonostante la sua fama e la sua autorevolezza, la Rossa ha i suoi limiti ed è normale che li abbia. L’ipotesi che tutti gli esercizi vengano controllati e verificati anno per anno è impraticabile, data la scarsità degli ispettori. Il pensare, pertanto, che un ristorante non sia degno di nota solo perché non è stellato è un bias del quale dobbiamo liberarci. Allo stesso modo, attribuire valore a un ristorante solo dopo il suo riconoscimento, significa perdere l’occasione di scoprire eccellenze che praticano una cucina di alta qualità al giusto prezzo. E su questo argomento, Valerio Visintin è molto eloquente: “Chiamiamo stellati i ristoranti e già mi sembra un aggettivo nauseante; non dovesse bastare, si valutano per numero di stelle, il che è una minchiata, perché vengono assegnate senza capirne l’arbitrio. Non esiste un termine di paragone matematico per stabilire che uno è meglio dell’altro come nello sport, dove almeno ci sono gol, record, campionati e coppe. È veramente una fesseria per la ristorazione. Almeno nel cinema, agli Oscar, conosciamo chi giudica, qui è veramente una montatura inspiegabile”.

Scelte discutibili: mancanza di coraggio o interessi commerciali?

La questione dei potenziali bias nella valutazione dei ristoranti da parte della guida Michelin è un argomento spesso dibattuto. Una delle maggiori preoccupazioni riguarda il grado di trasparenza del processo di valutazione. La mancanza di dettagli pubblici su come vengono prese le decisioni, può alimentare speculazioni e dubbi sulla possibilità di favoritismi e/o pregiudizi. Alcuni critici sostengono che le decisioni della Michelin potrebbero essere influenzate da fattori che nulla hanno a che fare con la buona cucina, come la popolarità e la forza mediatica di un ristorante, la sua ubicazione geografica, la presenza di prodotti sponsor o la presenza di chef “figliocci di…”. Si discute anche sulla coerenza delle valutazioni relativamente alla preferenza da parte della redazione di certi stili di cucina rispetto ad altri. C’è chi accusa gli ispettori – e la direzione – di non comprendere appieno le cucine e le culture regionali; vedi ad esempio la Puglia la cui cucina è osannata dai turisti di tutto il mondo ma spesso bistrattata dalla guida. Tutto questo porta, giocoforza, ad una distribuzione ineguale delle stelle, favorendo l’innesco di meccanismi che inquinano e distorcono questo settore. E allora ci si chiede: ci sono dietro interessi commerciali o è solo mancanza di coraggio?

La guida Michelin come bussola, non come mappa

Ecco allora che la guida Michelin va intesa più come una bussola che come una carta geografica dettagliata. Una bussola che indica direzioni, suggerisce percorsi, ma che non può definire l’intero paesaggio gastronomico. Il gusto personale, l’esplorazione individuale e la sperimentazione restano componenti fondamentali nell’esperienza di ciascuno di noi. La Michelin è uno strumento utile, ma non è l’unica voce in materia di gastronomia. Ogni valutazione umana è soggetta a interpretazioni e valutazioni fallaci e, ficcatevelo bene in testa, gli ispettori non sono affatto giudici perfetti. Incoraggiare il pubblico a fidarsi del proprio palato e a dare valore anche a quelle realtà gastronomiche meno premiate (ma non per questo meno meritevoli), è un messaggio cruciale che dobbiamo far passare fino all’ossessione. La vera scoperta culinaria si trova spesso fuori dai percorsi più patinati, in quei luoghi dove la passione e l’esperienza s’incontrano, al di là di ogni fantomatica stella.

Insomma, la Michelin non è la Bibbia… chef, dormite tranquilli!

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