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Andreina di Loreto

(5.00)
  • Ristoranti tipici regionali
  • Specialità: n.d.
Ristorante non verificato

Andreina di Loreto: ecco cosa scrivono i nostri segnalatori

Per gli abitanti di Loreto il ristorante Andreina è un luogo storico non certo per la stella Michelin che il locale vanta dal 2012; i succulenti manicaretti preparati dalla signora Andreina più di mezzo secolo fa, si sono fissati nella memoria della gente nella stessa inspiegabile misura di cui godono solo i profumi d'infanzia. All’epoca i cacciatori del posto avevano preso l’abitudine di portare le loro prede alla nonna di Errico, che le cucinava utilizzando le tradizionali tecniche dello spiedo e della brace. In breve tempo nonna Andreina si fece apprezzare per la bontà e genuinità dei suoi piatti e il lavoro aumentò in maniera considerevole.

Ci sarebbe piaciuto entrare nel ristorante Andreina di Loreto negli anni in cui nonna Andreina preparava tagliatelle, cacciagione in salmì e piccioni allo spiedo. All'epoca il ristorante non era neppure un ristorante; nasceva come un piccolo ed essenziale negozio di alimentari, dove si trovava qualche buon salume, un po’ di pane e la farina per fare la polenta. Poi, all’esterno, sotto un grande ombrellone, veniva piazzato uno spiedo e messi alcuni tavoli per permettere, a chi voleva fermarsi, di consumare il pasto. Quelli erano i giorni in cui iniziava la storia di del ristorante Andreina, oggi uno dei punti di riferimento di una cucina d'autore, ispirata dalla propria terra ma aperta alle migliori contaminazioni del mondo, purché complementari alla "marchigianità". 

Chiediamo ad Errico: quali sono state le evoluzioni di questo ristorante?
Intanto c’è da dire che, ancora oggi nonna Andreina, che ha 90 e passa anni, viene qui, sta con noi, si ferma a guardare e dispensa consigli, e questo è davvero molto bello. Negli anni 80 si è inserita mia madre, che ha portato una prima ventata di novità, aumentando e diversificando l’offerta. Erano anni d’oro, c’era il boom e la gente chiedeva cose nuove. Intanto io crescevo in questa atmosfera, respiravo continuamente quest’aria e, così, ho imparato ad amare la cucina. Mi piaceva provare, ripetere, smanettare ai fornelli, così ho fatto prima qualche viaggio, poi alcuni corsi di pasticceria all’Etoile di Mestre, e ho iniziato a cucinare occupandomi proprio dei dessert. Da noi si faceva la tradizionale zuppa inglese, ma in giro c’erano dessert più moderni, così uno dei miei primi dolci fu proprio una panna cotta con una coulis di lamponi e frutta fresca. Poi mia madre, sfogliando La Madia, trovò un’offerta per chi volesse partecipare a un lavoro nella brigata di Gianfranco Vissani e, a mia insaputa, mandò la richiesta. Dopo poco fui chiamato da Luca Vissani, ora mio grandissimo amico e persona a cui voglio veramente molto bene, e mi ritrovai a Baschi nel ristorante di Gianfranco.

Raccontaci l’incontro con il grande maestro.
L’incontro con Vissani, all’inizio, è stato traumatico perché io venivo da una realtà piccola. Parliamo di una dozzina di anni fa e quando sono entrato a Baschi in quella cucina, vedere tutta questa gente con i cappelli bianchi, tutto preciso, ordine, disciplina, fu davvero uno shock. Lì ho imparato cos’è una squadra e l’importanza di ogni ruolo. Io penso che Vissani sia stato uno dei cuochi più grandi, se non il più grande, e noi cuochi dobbiamo ringraziarlo per molte cose.

E poi?
Sono stato anche da Pietro Leemann, perché mi incuriosiva tutto questo mondo vegetariano, e, in Svizzera, da Martin Dalsaas, anche se considero quella da Vissani come la base della mia passione. Arricchito da queste esperienze ho dato un’ulteriore sterzata al locale, pur mantenendo le cotture alla brace e allo spiedo che erano e sono tuttora la caratteristica di questo posto. Mi piace, però, attingere dal passato e riproporlo in chiave attuale, così si può dire che la mia cucina sia un insieme di tradizione e tecniche moderne. Tutto questo anche e soprattutto nell’ottica di offrire alla nostra clientela un servizio più curato e professionale.

In che senso?
Le tecniche moderne aiutano a governare i tempi di cottura, che devono necessariamente andare d’accordo con la tempistica di un servizio. La bassa temperatura, in molti casi, ci consente di dare la giusta snervatura al pezzo di carne o di selvaggina, che poi portiamo in abbattitore, sapendo che, da quel momento, ci vogliono ancora un tot di minuti di cottura con la tecnica tradizionale. Senza questi accorgimenti la tecnica dello spiedo ha bisogno dei suoi tempi, ingovernabili in un servizio degno di essere chiamato tale.

Quanti siete in cucina?
Siamo in cinque più un ragazzo che si occupa solo dello spiedo

Ho visto che hai un bell’orto.
Sì, è diventato una specie di esigenza ma è soprattutto un piacere.

Ti piace questo lavoro?
Io mi considero un uomo fortunato, perché faccio ciò che mi piace fare.

Cosa vuoi trasmettere con la tua cucina?
A me interessa che si senta la mia mano, non mi piace il copia/incolla, tanto che l’ho tolto anche dal mio computer. Voglio che la mia cucina riesca a trasmettere quelle sensazioni della cucina di una volta, pur in chiave moderna, e la cosa che più desidero è vedere la gente contenta.

Certo Errico io posso testimoniarlo.
Infatti sono davvero contento, perché Errico Recanati è riuscito, con i suoi piatti, a trasmetterci proprio quelle sensazioni forti date dai piatti di cacciagione cucinati alla maniera tradizionale. Cotture perfette e materie prime di alto livello sono le caratteristiche principali della sua cucina, appagante al palato ma anche alla vista con piatti molto ben curati nella presentazione.

La nostra degustazione presso il ristorante Andreina è iniziata con un piatto che Errico Recanati ha chiamato “Un francese nelle Marche”, cioè fegato grasso mondato e farcito con una stracciatella di Pian del Medico, accompagnato da visciole e da un piccolo paté di fegatini rivestito con una granella di pistacchi, per dare croccantezza. A completare il “viaggio del francese”, erbe di campo, gelatina di Varnelli e gelatina di vino cotto.

A seguire un divertente hamburger di cinghialotto, maionese di lamponi, gelatina di acqua di pomodoro e cipolla di Suasa, un piatto da mangiare rigorosamente con le mani, con il rischio di doversi poi maleducatamente leccare le dita. Succulento.

Poi si gioca. Errico ci serve quello che sembrerebbe un uovo al tegamino, ma è un tuorlo di purè di pere adagiato su un albume di formaggio fresco, accompagnato da guanciale e una grattata di pepe. Buono, lo ha chiamato “come un uovo”.

“Lo Gnocco di patate viola, lepre in salmi, burro, salvia e mirtilli” ci allontana dall’idea del gioco e ci riporta prepotentemente alla realtà. Siamo in un luogo la cui specialità è la cacciagione e questo è un gran piatto davvero, colpisce per gusto, consistenze e contrasti. E’ ritorno all’antico, pura poesia gastronomica.

L’ Anatra al frutto della passione con pepe di Timut e gelato di mela rosa dei Sibillini chiude in bellezza la sequenza delle carni, giocando sulle acidità della mela e dell’aspro frutto tropicale.

Un lecca-lecca di cioccolato bianco e fragola fa da apripista alla selezione di piccola pasticceria: zuppa inglese secondo noi, creme brulèe, meringa, spumini al cocco e crostata crema e gelsi.

“Com’è andata?” – mi chiede Errico.

Rispondo con un abbraccio che è riconoscenza, ammirazione e gratificazione, perché Errico Recanati è un gran professionista ma non solo: è uno che cucina con la testa e, soprattutto, col cuore.


Opinioni Andreina (2)

  1. Jerryfood

    Recensione

    5 / 5

    Pur aspettandosi un posto di "un certo livello", il rapporto qualità/prezzo è molto buono e il personale di sala cordiale e amichevole, sempre disponibile. Buona cantina e buoni i consigli della sommelier.

  2. Giovanni  Mastropasqua

    Recensione

    5 / 5

    uno dei miei ristoranti preferiti in assoluto. Lo chef Errico Recanati è davvero molto bravo e questo locale si merita tutta l'attenzione possibile.

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