La Voglia Matta di Genova: ecco cosa scrivono i nostri segnalatori
Nel punto più a nord del Mar Mediterraneo occidentale, come ricorda didascalico il cartello issato a scrutare le onde. Oppure, all’ultimo tiro di dadi della città di Genova, proprio là dove finisce, per dare inizio alla riviera di Ponente. Come la si voglia vedere, troveremo facilmente la Voglia Matta, cangiante e colorato locale che si apre nel borgo storico di Santa Limbania, cuore antico del quartiere di Voltri, un tempo borgo marinaro, ora ultima appendice di una città che con spossata rassegnazione crogiola nell’immobilismo. Anche gastronomico. Non è il caso però di Davide Cannavino, 28 anni, giovane cuoco di questo piccolo locale (una quarantina i coperti), e di Katia Baglini, sua socia, sommelier e maitre. Aperto nel 2007, ha saputo ritagliarsi uno spazio al sole puntando su una cucina piuttosto fantasiosa che adopera con orgoglio pesce azzurro e meno famoso (non povero, piuttosto “ritrovato”) facendo attenzione a un rapporto prezzo/felicità favorevole. La cucina di Cannavino, formatosi da Luca Collami, guida del pluridecorato “Baldin” di Sestri Ponente, si muove con veemenza in diverse direzioni, abbracciando da una parte una purezza gustativa declinata in piatti architettati su pochi ingredienti (un pesce, un’erba aromatica, una verdura); dall’altra una sequela di classici genovesi (il cappon magro, ad esempio) riletti in versioni anno dopo anno più autonome dalla tradizione; dall’altra ancora in piatti d’indubbio piacere, ma meno attuali. Il complesso è ampiamente positivo, raccolto in percorsi guidati
molto interessanti. “La cucina perfetta è 90% materia prima, 10% tecnica, 10% passione: così si arriva a 110%, la perfezione” dice sorridendo Cannavino. Ha passione, intelligenza, l’umiltà e la voglia di imparare ancora, di confrontarsi con cuochi più titolati (ultimo, un veloce passaggio nelle cucine di Paolo Lopriore). Della cucina della Voglia Matta, sono prova il calamaro ripieno con gelato all’olio, di croccante suadenza; il cappon magro trasformato in una tavolozza di colori, dove le verdure di questo classico ligure si trasformano in macchie cromatiche alleggerite, nel sapore, da un uso sempre più fitto di acqua; il sashimi di sugarello (pesce amato dallo chef, e a ragione) con pesca, zenzero, menta e sale affumicato francese o ancor più il sashimi di seppia capperi canditi e yuzu, intenso per consistenza e contrapposizioni; e ancora, tra gli antipasti, il flan di stoccafisso alla mediterranea, piatto di gola e pancia. Tra i primi, pesce azzurro, con taglierini impastati all’acciuga salata, pesce povero e pan grattato, ma c’è spazio anche per i tortelli ripieni di pesto con gamberi di Santa Margherita e prescinseua e per il risotto baccalà e pesto, assai convincente. Tra i secondi si annidano alcuni piatti che sanno raccontare con incisività la strada di Cannavino: ad esempio, quella parmigiana con pesce lama che strappa un applauso nella sua semplicità, o il rondanino (o pesce castagna) crema al Parmigiano e carciofi, che sa esaltare assieme il pesce, il formaggio, la verdura. Si chiude con menta e cioccolata, un classico binomio ben eseguito, o con il semifreddo allo zucchero affumicato liquirizia ed erba luisa, piccolo omaggio a Lopriore, che segna un passo oltre anche nei dolci, un “fuori schema” sensoriale servito con tisana al limone. La cantina conta un centinaio di etichette, molte di cantine che praticano agricoltura biologica o biodinamica. È un bel bere, a prezzi
ragionevoli. È una buona cucina, destinata a crescere ancora.
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